12/04/10

MODIFICA COSTITUZIONALE O REVISIONE COSTITUZIONALE? QUANDO LA FORMA E’ SOSTANZA



di Umberto Baldocchi

Dopo la parentesi elettorale è ripreso inesorabile l’interminabile dibattito sulle “riforme costituzionali ineludibili”, l'argomento suggerisce una domanda elementare che un semplice cittadino vorrebbe rivolgere a tutti i soggetti politici e istituzionali competenti in materia: si può davvero “modificare” la nostra Costituzione?
Perché i padri costituenti non hanno parlato di modifiche , ma di revisioni?
Appare più che ovvio oggi parlare di modifiche costituzionali, dopo un decennio di tentativi “costituenti” o “ri-costituenti”, sia pur miseramente falliti.
Il fatto è che non ci siamo accorti dello scivolamento semantico che ci ha portato a considerare identici i significati dei due termini. Basta però consultare un buon vocabolario per accorgersi che ogni revisione può certo comportare una modifica, mentre non ogni modifica può considerarsi una revisione.
Mentre MODIFICA è una parziale trasformazione introdotta allo scopo di migliorare l’efficienza o la funzionalità ( la “modernizzazione dello Stato” ad esempio), REVISIONE è invece un esame o un controllo, per lo più periodico, inteso a verificare il grado dell’efficienza, della funzionalità, della corrispondenza a determinati requisiti, in quanto ciò può implicare apporto di modifiche o di correzioni. Il potere di “revisione costituzionale” è dunque un potere continuamente attivabile, essenziale per far vivere il testo fondante e lo spirito originario della Repubblica, cui ogni cittadino e, a maggior ragione, ogni potere dello Stato deve essere fedele, ma non è il potere di “cambiare” la Costituzione. E’ qualcosa di simile all' EMENDAMENTO, tipico della Costituzione americana, che viene “modificata” senza togliere mai nulla al testo, senza diminuire alcuno dei diritti, ma aggiungendo sempre clausole nuove. Emendare significa infatti “liberare da imperfezioni, errori o difetti, mediante modifiche o correzioni”.
L’ esito di una “revisione” non può perciò che esser radicalmente diverso da quello di una modifica. Qui la forma diviene veramente anche sostanza. Il potere di “revisione” implica infatti il ritorno ai principi fondanti, impliciti ed espliciti, del testo costituzionale, ad esempio può implicare gli adeguamenti necessari per eliminare il cancro delle caste e delle oligarchie, può implicare l’introduzione di vincoli istituzionali che consentano di fare pulizia senza ricorrere alla magistratura, incentivando la fedeltà all’istituzione e non alle lobbies (dalle norme sulle ineleggibilità e contro le proroghe illimitate dei poteri, fino alle leggi elettorali) . Una semplice “modifica” - legittimata magari dalla volontà di “modernizzare” o anche “ringiovanire” l’apparato statale - provocherebbe al di là anche delle buone intenzioni, una destrutturazione dell’unità e dell’equilibrio originari dell’architettura costituzionale, che non è una somma di articoli, ma un testo unitario in cui non solo gli aggettivi, le virgole e gli spazi bianchi hanno un loro senso preciso, ma in cui un articolo si intreccia e si collega con altri, magari appartenenti a una sezione distinta. La destrutturazione che le proposte attuali sembrano configurare fa apparire chiaramente la prospettiva di un indebolimento delle istituzioni di garanzia e la loro trasformazione in istituzioni di parte, anche se a prima vista di “tutte “ le parti politiche, di tutti i partiti, in prevalenza di quelli , volta per volta, al governo. Sarebbe questo, nel caso migliore, un liberalismo autoritario e stato-centrico, che ha una concezione affievolita della separazione dei poteri, simile a quello che caratterizzò l’ Italia all’indomani della sua unificazione. L’esatto opposto di un vero presidenzialismo all’americana.
Per andare verso una revisione costituzionale, bisognerebbe invece cambiare l’agenda politica e quindi il contenuto e la priorità delle riforme costituzionali. Bisognerebbe spostare l’attenzione dal bisogno fittizio del rafforzamento dei poteri monocratici del premier o del presidente – modellati sul potere emergenziale della protezione civile, esempio di potere non responsabile- al bisogno vero di meccanismi istituzionali adeguati per garantire il rinnovamento delle élite dirigenti- contro le caste e le oligarchie consolidate- per garantire i diritti di libertà e di informazione di tutti, per garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione, il funzionamento migliore del sistema giudiziario, la responsabilizzazione dei governi regionali, per produrre nel Parlamento maggioranze coese e capaci di elaborare un indirizzo politico coerente e rispondente ai bisogni profondi della nazione, maggioranze non cooptate attraverso le napoleoniche “liste di fiducia” e in grado di “vincere e convincere”, cioè capaci di persuadere il paese democraticamente attraverso il confronto pubblico delle idee e capaci anche di frenare e modificare le decisioni dell’esecutivo ( come fa normalmente, in un sistema presidenziale, il Congresso americano verso le decisioni di Obama, anche quando la maggioranza è del partito del presidente). Questa agenda di riforme è quella necessaria, non per far fronte ai terremoti o alle emergenze ( che nessuno può ritenere una condizione ordinaria di essere dell’Italia), ma per liberare le risorse finanziarie aggiuntive necessarie per affrontare la crisi globale e le questioni sociali, quello cioè che chiedono tanto i lavoratori che le associazioni degli imprenditori. Tra l’altro, solo se ci si confronta con la realtà effettiva si avverte davvero l’esigenza inderogabile della moralità, della legalità, del riconoscimento del merito, del rispetto della Costituzione. E’ necessario però che cambino le parole della politica. Le parole contano più delle immagini. Lo ha capito, credo, anche chi governa l’Italia. E in fin dei conti, come ha scritto Saviano, solo le parole, non le immagini, che possono cambiare il mondo. Con le parole si può fermare la discesa verso la “Costituzione ad personam” ed il ritorno all’Italia delle Signorie e dei Principati, dominata dai tanti piccoli Chavez dell’epoca, che furono la causa profonda del lungo declino da cui il paese uscì solo col suo Risorgimento.
Bisogna scegliere le parole: si deve dire con chiarezza se si vuole una revisione o una modifica. Su questa base poi ci si può rivolgere al popolo sovrano.




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